Senza titolo, 2020, fotografia digitale, Fine Art giclée
Vi è un tempo per la memoria e un tempo per la dipartita, un momento in cui le immagini appaiono sbiadite, logorate e le voci lontane. Tutto è inghiottito, nel vorticoso moto del tempo che dissipa e ingloba a sé i ricordi e le vite che furono dei nostri avi, in un perenne ciclo di nascita e di morte. Maria Grazia Carriero (Gioia del colle, 1980) con questa fotografia, evoca una memoria privata, custodita gelosamente nella propria storia e fra i propri oggetti innalzati ad oracoli, di cui l’osservatore può captarne e comprenderne i silenzi e le immagini che richiamano ai fantasmi della propria genealogia. Gli oggetti, come nel caso di queste spille votive con effigi taumaturghe, rivestono, come spiegato da Jean Baudrillard (Il sistema degli oggetti, 1968), un ruolo antropologico connesso al limite ultimo dell’esistenza e continuano ad esistere ancora, oltre la vita del suo proprietario, in un rapporto simbiotico e simbolico con chi resta. Allora la Carriero, come in una pagina di un diario intimo, evoca una traccia della nonna paterna, di cui ne rimane oggi, l’essenza, attraverso questo oggetto pregno di vita ad essa appartenuta. Di fatti, gli oggetti, circoscrivono tempo e spazio e costituiscono, come sottolineato da Ernesto De Martino «un primo ancoraggio di memorie culturali riorientatrici e quasi la tessera d’ingresso alla domesticità storica del mondo» (La fine del mondo, 1977), di cui la Carriero mette in evidenza attraverso l’arte contemporanea, la forza e la potenza simbolica dell’oggetto esorcistico, che a sua volta continuamente rivive in un rapporto melanconico con il mondo.
Fabio Petrelli