malerbe. poetica della dissidenza

POSTED BY   Mariagrazia
Gennaio 3, 2025

#23 2024,
fotografia digitale,
Carta Canson 310 gr,
Rag photographique.

 

Non esiste vivente senza margine. Malerbe. Poetica della dissidenza di Maria Grazia Carriero è un invito a interrogare la soglia che si apre tra il centro e l’esterno, tra il visibile e invisibile, l’ineluttabilità e il divenire. È un elogio della ricettività e della finitudine che preserva il privilegio del differire.

Il progetto interroga la radicalità delle malerbe, entità che incarnano una resistenza dispiegata nella tensione tra fragilità e tenacia, nella loro apparenza vulnerabile ed insieme intransigente. Nell’incontro con ex voto anatomici e frammenti erbacei, prendono forma ibridazioni singolari che rivelano l’unicità estetica del bios,manifestando una persistenza che eccede il visibile. Con la loro presenza marginale e adattiva, emblema di un vivere che, malgrado il destino, persiste, le malerbe sono il luogo in cui il vivente si espone, si trasforma e si ibrida, rivelando l’essenza pluralistica e relazionale di ciò che esiste.

Figlie di una terra colonizzata e segnata dalle logiche dell’Antropocene, queste forme vegetali interferenti, ritrovano uno spazio di affrancamento dal normativo, riscrivendo connessioni che rifondano il loro senso ontologico. In questa terra residuale, il limite non è soltanto un passaggio, ma una apertura generativa in grado di sovvertire il confine tra precarietà e potere, esposizione e fierezza, impossibilità e volontà, reinventando i parametri stessi dell’estetica vivente.

Una poetica dell’interdipendenza attraversa ogni opera, delineando uno spazio inaspettato in cui la persistenza critica del margine sovverte il centro, trasformandolo in un cardine, un crocevia polisemico da cui emergono alleanze e inedite possibilità di coesistenza.

La mostra si articola in un dialogo di linguaggi che si intrecciano e si contaminano: sculture in ceramica, ibridazioni materiche e frammenti vegetali, immagini fotografiche e una installazione sonora. Ogni opera, in questa trama, si fa spazio di una risonanza necessaria ed espansa.

Con la loro corporeità tattile e i richiami anatomici, le opere in ceramica evocano l’universo rituale degli ex voto, tracce di un desiderio che si radica nel corpo e nella memoria collettiva. Nel loro dialogo con le strutture erbacee, queste forme stabiliscono un dialogo con la dimensione naturale e ambientale, che è, al contempo, necessità e rito, congiunzione e protezione, richiesta di riscatto dall’invisibilità, sacra e necessaria deviazione dalla ratio. Le immagini fotografiche, invece, catturano l’essenza delle malerbe, svelandone dettagli nascosti, ma anche, le asperità e le inquietudini delle forme, restituendo una dignità estetica che si fa anche politica, nel reclamare la soglia come spazio di significazione e sovversione.

Ad amplificare la tensione tra sacro e dissidenza, un dispositivo sonoro reinterpreta in chiave sperimentale i versetti 13-18 del Salmo 104 dell’Antico Testamento, un inno alla creazione che prende forma attraverso le immagini di terra e natura come fondamento della vita organica.

Questa risonanza sonora amplifica la dimensione critica del progetto, restituendo voce alle malerbe come elementi imprescindibili della trama fenomenica. Le vibrazioni sonore tessono legami tra memoria e resistenza, invitando a entrare in uno spazio di ascolto profondo, dove il tempo si disarticola, divenendo attesa che cura e divergenza che si manifesta.

Emerge un dialogo che non è puramente eco della trascendenza, ma un’oscillazione tra ciò che osservo e ciò che rimane sottratto; co-apparizione della sacralità e del dissenso che rifiuta la centratura, ripensando la distanza semantica tra umano ed extraumano, potere e disobbedienza.

L’artista compone un manifesto composito che abita la vulnerabilità come potenza, un’apertura che rifonda l’estetica del possibile sull’intersezione tra vita, corpo e archetipo. Un posizionamento liminale, fondato sulla complicità della radice, che crea comunità abitate da malerbe, corpi volubili e residui vegetali. Un dispositivo che chiede di partecipare al gioco fragile e imprescindibile del vivente, dove il marginale si rivela spazio di rigenerazione, gesto che sfida e trasforma, in uno slittamento dello sguardo verso il fuori, inevitabilmente oltre il perimetro della consuetudine.

Un invito, allora, a pensarsi malerbe. Lungo i bordi, come interferenza, evoluzione non voluta, diritto alla negazione, aspirazione a riannodare i vuoti tra un passo e l’altro, tra la parola e gli spazi, tra il prima e il dopo, oppure, il niente. In un presente che insegna a (non) cadere, come malerba, per scorgere significati là dove il mondo intravede soltanto frammenti di casualità.

Giuliana Schiavone

 

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